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Ricordo di Giuseppe Spadaro

Il 9 dicembre 2003, dopo una lunga malattia, chiudeva per sempre gli occhi Giuseppe Spadaro, già prof. ordinario di Filologia Greca Medievale e Moderna presso l'Università di Catania. La comunità scientifica internazionale perdeva uno dei suoi più illustri rappresentanti, la Grecia un amico appassionato e sincero.

   Nato a Floridia, in provincia di Siracusa, il 14 luglio 1926, Giuseppe Spadaro si era laureato nel 1951 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania con un tesi sulla lingua di Sofocle, relatore l'autorevole grecista Quintino Cataudella, e aveva poi seguito a Bruxelles, nell'anno acc. 1951/52, i seminari dell'insigne bizantinista Henry Grégoire. Determinanti per la sua formazione filologica furono i successivi soggiorni in Grecia. Nel primo, realizzato grazie al premio ottenuto dalla Regione Siciliana per la dissertazione di laurea, giudicata la migliore dell'anno acc. 1950/51, trovò incoraggiamento ai suoi studi in Ghiorgos Zoras; con il secondo - ottenuto in seguito al comando concessogli dal Ministero della Pubblica Istruzione (aveva nel frattempo vinto il concorso a cattedra di Lettere latine e greche per i licei) - usufruì della profonda esperienza e dei preziosi consigli di Linos Politis. Abilitato alla libera docenza in Lingua e Letteratura Neogreca e incaricato della medesima dal 1967 presso la Facoltà di Lettere di Catania, negli anni acc.1978 e 1979 viene chiamato a ricoprire lo stesso incarico presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Vinto, nel 1980 il concorso a cattedra di Filologia Greca Medievale, rientra definitivamente a Catania e, nel 1988, alla morte prematura del prof. Rosario Anastasi, fu eletto Direttore dell'Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici. Momento centrale della sua carriera la laurea honoris causa conferitagli nel 1991 dall'Università di Atene. Nella memorabile lezione tenuta in quella sede egli, ancora una volta, ribadì la sua convinzione sulla trasmissione scritta delle opere medievali in demotico, e sulla loro elaborazione 'a tavolino', convinzione accettata ormai dalla maggioranza degli addetti ai lavori.

   Romanzi d'amore e di cavalleria, cronache e poemi in vernacolo dei sec. XIV-XVII hanno formato l'oggetto dei suoi interessi, soprattutto sotto l'aspetto testuale e quello più squisitamente linguistico. Non credo esista un altro studioso -  certamente non in Italia - che abbia, nel campo del greco volgare, la stessa padronanza che deriva dalla lettura diretta dei manoscritti e dall'analisi approfondita dei testi. In ispecie lo affascinava (e innumerevoli sono i suoi contributi in questo senso) la lingua greca medievale e i suoi legami non solo con l'italiano, ma anche, e soprattutto, con il dialetto della sua Sicilia.

   Alcuni suoi lavori sono vere e proprie pietre miliari per gli studiosi del settore. Mi riferisco  ai saggi sulla Χρονικόν του Μορέως, innanzitutto, e poi a quelli sull'epopea del Διγενής Ακρίτης, sugli Ιπποτικά Μυθιστορήματα  dell'età dei Paleologi, sulla Rinascenza cretese.

   Φλόριος και Πλατζιαφλόρε  e l'Ερωτόκριτος sono i due romanzi più amati, a cui egli ha dedicato gli studi più belli e per i quali ha avuto le intuizioni più felici. Sul primo ci restano un saggio e molti articoli, in special modo di critica testuale, nei quali, sulla base di un accurato esame della fonte italiana, il quattrocentesco Cantare fiorentino di Fiorio e Biancifiore, Spadaro restituisce passi oscuri o incerti dell'opera greca, contribuendo così a migliorare la precedente edizione di D. C. Hesseling, del 1917. Gli studi sul secondo, raccolti in un recente volume, Letteratura cretese e Rinascimento italiano, rivelano l'amorevole, instancabile colloquio con il capolavoro cretese che lo ha condotto all' individuazione di un preciso influsso su di esso sia dell'Orlando Furioso  sia di altri componimenti minori del nostro Rinascimento.

   Gli ultimi anni della sua vita sono stati contrassegnati da una fervida volontà di fare come se, presentendo la prossima fine, egli avesse ingaggiato una lotta col tempo. A quest'ultimo periodo appartiene il corpus contraddistinto dal titolo Graeca Mediaevalia nel quale sono confluiti, fra l'altro, i numerosi interventi di restituzione critica di un altro noto romanzo medievale, il Πόλεμος της Τρωάδος.

   Egli scriveva 'con gusto'¹, il che non gli impediva di dominare con intransigenza la materia trattata, di essere severo con gli altri e, di più, con sé stesso. In tal modo il δάσκαλος Giuseppe Spadaro ha dato a coloro che hanno avuto la fortuna di essere suoi alunni l'esempio di un lavoro informato costantemente a serietà scientifica e probità.

   Una invincibile curiosità intellettuale lo portava, inoltre, a viaggiare spesso. Sue mete preferite gli itinerari che testimoniano il millenario percorso della cultura ellenica, dagli altipiani centrali dell'Anatolia alle coste dell'Asia Minore, alle contrafforti veneziane di Creta e del Peloponneso, alle vestigia della secolare dominazione ottomana.

   Gli amici che gli sono stati vicini non dimenticano la sua personale visione del mondo, quel sentimento di cordialità e di solidarietà che era anche slancio affettuoso verso le molteplici forme del reale. Di certo esso permea tutta la vita di Spadaro, dissimulando la sua presenza, con ritrosa discrezione, dietro la sortita ironica, la battuta aristofanesca, l'inconfondibile risata omerica. Era un uomo semplice, rispettoso degli altri, dotato di un entusiasmo fanciullesco, ma a un tempo schivo e geloso dei suoi sentimenti.

   E se la sua morte rappresenta un duro colpo per i suoi cari, i suoi amici e i suoi colleghi, e ci rende malinconici per l'ineluttabilità del distacco, la sua preziosa produzione filologica, la sua vibrante dedizione alla Grecia rimangono punti fermi per chi intende seguire la via da lui tracciata. Motivo di conforto, infine, la consapevolezza che egli ha saputo cogliere tutte le opportunità che la vita gli offriva, spinto da una vena giocosa commista a una sottile malizia che era anche saggezza. Tornano in mente, allora, i versi di una lirica di Costantino Kavafis:



Επήγα μες στην φωτισμένη νύχτα.

Κ' ήπια από δυνατά κρασιά, καθώς

που πίνουν οι ανδρείοι της ηδονής.

Anna Zimbone

"SicGymn" 56 (2003), 485-487

Ricordo di Giuseppe Spadaro

¹ Per le pubblicazioni di G. Spadaro si rimanda a: Κανίσκιν. Studi in onore di Giuseppe Spadaro,

a cura di Anna Di Benedetto Zimbone e Francesca Rizzo Nervo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp.9-17

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